Qualche indicazione operativa per studiare con dislessia o altri Disturbi Specifici dell’Apprendimento

A partire dalla classe terza della scuola primaria i bambini devono affrontare lo studio di discipline come Storia, Geografia e Scienze. La quantità di materiale che devono elaborare è maggiore rispetto al passato: più compiti, più pagine da studiare. La fatica aumenta per tutti e ancor di più per un bambino dislessico.

In presenza di un Disturbo Specifico dell’Apprendimento il momento dello studio viene spesso vissuto come un incubo. La casa diventa teatro di conflittualità, battibecchi e tormenti. L’ora dell’avvio viene continuamente rimandata, ogni occasione è propizia per evitare o posticipare quelle gravose ore di studio. I richiami al dovere e i ricatti danno scarsi risultati o in certi casi producono maggiore disobbedienza e ribellione.

Nervosismo, arrabbiature, preoccupazioni e scarsa motivazione allo studio penalizzano gli apprendimenti. Ma è possibile sviluppare nel bambino o nel ragazzo atteggiamenti più motivati? Vediamo di seguito alcune indicazioni utili a questo scopo.

Apprezzare gli sforzi compiuti

Per non “spegnere” la motivazione dei propri figli e per non danneggiare la loro autostima, innanzitutto è importantissimo apprezzare i loro sforzi. Non concentriamoci sul risultato, ma sul percorso e sulle emozioni vissute per arrivare a quel traguardo.

Se dimostra impegno, costanza e tenacia, elogiamo il bambino anche se gli esiti non sono quelli sperati. Facciamogli capire che lo apprezziamo. La frase: “Oggi sei riuscito a studiare due pagine su quattro, sei stato bravissimo!” è un rinforzo verbale molto gratificante per il bambino dislessico e determina in lui la voglia di continuare ad impegnarsi. Ma se dopo tutte le sue fatiche, presi dallo sconforto per non aver terminato il lavoro programmato, gli dicessimo: “Le pagine da studiare sono quattro e tu sei riuscito ad impararne solo due” aggraveremmo il suo stato di frustrazione e di stanchezza. Non solo. Rischiamo di demotivarlo per le attività future. 

L’immagine che un bambino con DSA ha di sé è spesso fragile; risente dei risultati fallimentari raggiunti a scuola. Essendo intelligente, si rende conto che non ce la fa come i compagni, nonostante il suo impegno e i suoi sforzi siano intensi.

Programmare “pause a tempo”

Pensiamo ad un bambino con dislessia e alla sua fatica nel discriminare lettere o parole. I tempi di acquisizione delle pagine risultano rallentati, si stanca con facilità. E se deve imparare ad usare la sintesi vocale per compensare la sua difficoltà, sfruttando una voce elettronica che legge al suo posto, gli è richiesto un ulteriore dispendio di tempo, di attenzione e di energie.

Visto che durante le attività di studio o dei compiti i bambini dislessici o con altri DSA si stancano facilmente, è consigliabile programmare delle pause frequenti. Solitamente la pausa viene concessa quando la stanchezza ha il sopravvento.

Il dottor Gianluca Lo Presti, psicologo esperto in Disturbi Specifici dell’Apprendimento, nel libro Nostro figlio è dislessico suggerisce di applicare la tecnica delle “pause a tempo”. Si pianifica lo svolgimento di un’attività prevedendo varie fasi. Al termine di ciascuna fase si farà una pausa. Per 15 giorni si procede facendo una pausa di 4 minuti ogni 10 di attività. Trascorso questo periodo, si può valutare se è opportuno estendere la durata di ciascuna fase e della corrispondente pausa secondo il seguente ordine:

  • 20 minuti di attività e 8 minuti di pausa
  • 30 minuti di attività e 12 minuti di pausa
  • 40 minuti di attività e 16 minuti di pausa

Altri suggerimenti

Esistono altri accorgimenti che possono sostenere il bambino dislessico o con altri DSA ad affrontare più serenamente le sue attività. Vediamone qualcuno insieme:

  • Spiegare e rendere espliciti gli obiettivi aiuta ad aumentare la motivazione ad apprendere. Si tratta di rendere chiaro quale sarà il traguardo e dare valore al compito che deve essere affrontato; ad esempio potremmo dire: “Se studi questo argomento ti servirà per…”.
  • È importante attribuire valore non solo alle discipline di studio, ma anche all’individuo. Bisogna quindi capire se il bambino si ritiene autoefficace, se crede di potercela fare, di riuscire, altrimenti è necessario lavorare sulla percezione di competenza. Tra i bisogni psicologici fondamentali, oltre a sentirsi accettati e integrati, al poter scegliere autonomamente, ci sono anche i sentimenti di autoefficacia. Le ricerche evidenziano che il percepirsi capaci o meno influenza la motivazione e gli apprendimenti, più delle competenze che effettivamente si possiedono.
  • Essere pazienti ed evitare i confronti. Apprezziamo gli sforzi e cerchiamo di non incorrere nell’errore di paragonare gli esiti scolastici del bambino con quelli degli altri; rispettiamo i suoi tempi. Il confronto deve avvenire solo tra il bambino e se stesso, mettendo in risalto ogni suo progresso anche se minimo.
  • Dovremmo inoltre dare importanza agli obiettivi di riuscita, distinguendo tra obiettivi di padronanza e obiettivi di prestazione. È sui primi e non sui secondi che dobbiamo fare leva, in modo che il bambino comprenda che ci si impegna per imparare, per acquisire competenze, e non per ottenere voti e giudizi positivi da parte di altre persone.
  • Usare un linguaggio incoraggiante e non giudicante. Dicendo al bambino: “Fai sempre i soliti errori” rischiamo di favorire a lungo andare un atteggiamento di rinuncia, perché ogni volta avrà il timore di essere giudicato negativamente. Meglio rivolgersi a lui dicendogli: “Riprova, tu sei bravo e puoi fare meglio”. È inoltre importante fargli capire che l’errore è un punto di partenza per l’apprendimento, apre la porta a nuove conoscenze. E se qualcosa è andato storto, si possono trovare delle strategie che aiuteranno a fare meglio.
  • Accettare espressioni di ansia e di rabbia. Anche se ci risulta particolarmente difficile, cerchiamo di non rispondere alle reazioni del bambino con emozioni negative; proviamo a trasmettere un messaggio positivo dicendogli che ce la può fare.
  • Lasciare tempo libero per coltivare gli interessi personali. Lo studio e i compiti non devono annientare le attività che gli piacciono. È importante ad esempio che il bambino possa dedicarsi al suo sport preferito o partecipare a momenti di gioco con i suoi amichetti.  Se gli permettiamo di svolgere quelle attività extrascolastiche in cui lui riesce bene, ne trarrà un grande beneficio psicologico.

Un obiettivo fondamentale: l’autonomia

Il bambino, quando fa i compiti o quando studia, ha bisogno di adulti che lavorano per sviluppare e sostenere la sua autonomia, non di adulti che si limitano a dirigerlo e a controllarlo o che rappresentino per lui dei sostegni a cui appoggiarsi. Questo a lungo andare lo porterà a deresponsabilizzarsi, perché imparerà che in ogni caso ci sarà qualcuno che pensa al suo posto e che organizza le sue attività.

La docente universitaria Angelica Moè e la psicologa Gianna Friso parlano di stile supportivo dell’autonomia. È importante che l’adulto proponga al bambino un metodo, strutturato sulla base di un insieme chiaro di obiettivi, mezzi, modalità e tempi; è fondamentale che lui impari gradualmente l’uso di strategie per affrontare lo studio autonomo, sfruttando i suoi punti di forza e assecondando il suo stile di apprendimento.

Fonti bibliografiche

G. Friso – A. Moè (2014)  L’ora dei compiti Edizioni Erickson

G. Lo Presti (2015)  Nostro figlio è dislessico Edizioni Erickson

L. Grandi Guida alla dislessia per genitori terza edizione AID