Le teorie scientifiche che spiegano le cause della dislessia

Quando un bambino inizia a frequentare la scuola primaria deve affrontare un compito particolarmente complesso: imparare a leggere. 

Se per alcuni bambini la lettura diventerà con il passare del tempo un’esperienza gratificante, per altri rappresenterà invece un’attività molto faticosa e frustrante. A questa categoria appartengono i bambini dislessici.

Può essere interessante una breve presentazione delle teorie proposte in campo scientifico per spiegare le cause della dislessia, il Disturbo Specifico dell’Apprendimento che ha il maggiore impatto a livello scolastico.

Teoria del deficit fonologico

Secondo gli studiosi che sostengono questa teoria, la dislessia è causata da una consapevolezza fonologica non completamente sviluppata. Ciò significa che il disturbo è legato alle difficoltà che il soggetto incontra a percepire, memorizzare e recuperare i suoni della lingua parlata. 

Questa teoria trova conferma nella pratica. Effettivamente i bambini dislessici incontrano degli ostacoli nel lavorare sui suoni del linguaggio, quando devono segmentare le parole in suoni ampi come le sillabe o minimi come i fonemi. A queste difficoltà di metafonologia superficiale o profonda, nel bambino si affiancano generalmente dei problemi di memoria fonologica, cioè di memoria dei suoni della lingua, e di recupero rapido del lessico.

Dal punto di vista neurologico e anatomico la teoria del deficit fonologico trova supporto nella compromissione di determinate aree dell’emisfero sinistro, dimostrata con immagini di Risonanza Magnetica Funzionale. Si tratta di aree deputate alla rappresentazione dei suoni del linguaggio e che a noi ne permettono l’elaborazione.

La comunità scientifica non misconosce totalmente questa teoria e non nega l’esistenza del deficit fonologico nei dislessici, ma ritiene che non sia l’unico fattore capace di spiegare la dislessia. Gli esperti che sostengono questa posizione teorica sono convinti che alle compromissioni di carattere fonologico vanno aggiunte quelle a livello motorio e di elaborazione dei dati visivi e uditivi. Ad esempio, spesso i soggetti dislessici non evidenziano difficoltà solo nella lettura, ma anche nel mettere in pratica sequenze di movimenti quotidiani.

Teoria del doppio deficit

Le ricerche successive all’elaborazione della teoria del deficit fonologico, circa trent’anni fa, evidenziarono che il trattamento esclusivamente fonologico in alcuni soggetti dislessici non faceva registrare progressi significativi. Ci si chiese allora che cosa potesse spiegare le difficoltà di lettura causate dal disturbo; gli studi si focalizzarono sulla capacità di denominazione rapida automatizzata, cioè sulla Rapid Automatization Naming, indicata con l’acronimo RAN. Questa è la velocità con la quale il soggetto riesce a denominare matrici di lettere, sillabe, colori, numeri e figure di oggetti di uso comune. 

Da quel momento la RAN non è più stata considerata un’abilità fonologica, ma una competenza a sé stante. Sulla base dei risultati delle esperienze scientifiche gli studiosi hanno formulato la teoria del doppio deficit, secondo cui alla base della dislessia ci sono due tipi di deficit:

  1. fonologico
  2. difficoltà di denominazione rapida automatizzata.

Tali deficit possono essere presenti nel soggetto contemporaneamente oppure essere indipendenti; ciò significa che esistono soggetti dislessici con il solo deficit fonologico oppure con quello di denominazione rapida oppure, nei casi di dislessia più gravi, i deficit sono compresenti.

Anche di fronte a questa teoria non c’è una posizione unanime da parte della comunità scientifica. Gli esperti, pur riconoscendo il ruolo e l’importanza della denominazione rapida nella lettura, evidenziano perplessità in merito all’interpretazione dei test per valutare la RAN. Essi coinvolgono infatti molti processi e variabili, come attenzione, memoria, percezione, elementi lessicali e aspetti motori.

Rapid Auditory Processing Theory

Questa teoria identifica la causa primaria della dislessia in un deficit uditivo; si tratta di un deficit che in età evolutiva porta poi a quello fonologico e di conseguenza ad una compromissione dell’abilità di lettura.

I dislessici con questa difficoltà faticano a percepire i suoni brevi o che cambiano velocemente in ampiezza e frequenza oppure hanno problemi a percepire alcuni suoni rispetto ad altri. La situazione si aggrava quando i suoni brevi sono anche simili, come ad esempio quelli delle lettere “b” e “d”.

Teoria visiva

Gli studiosi che sostengono questa teoria non negano che nei dislessici ci siano difficoltà nel processamento fonologico, ma attribuiscono un “peso” maggiore ad un deficit nella percezione visiva di lettere e parole. Le fissazioni compiute dagli occhi di un soggetto dislessico su lettere e parole sono molto più instabili e numerose rispetto a quelle di un lettore senza dislessia. Ciò può causare nel dislessico il cosiddetto effetto crowding, cioè una percezione di affollamento visivo.

Teoria del deficit cerebellare

Questa teoria è nata riconoscendo che alcuni dislessici presentano difficoltà nella coordinazione motoria, nell’apprendimento delle sequenze di azioni, nell’equilibrio e nella stima del tempo: tutte abilità controllate dal cervelletto (Fawcett & Nicolson, 1996)

Gli studiosi che sostengono questa teoria hanno ipotizzato che una disfunzione del cervelletto e anche una sua diversa anatomia avrebbero conseguenze dirette sul processo di lettura. Il deficit del funzionamento del cervelletto secondo gli autori si fa “sentire” sul controllo motorio necessario per articolare i suoni della lingua parlata e di conseguenza comprometterebbe anche le rappresentazioni fonologiche. Contemporaneamente a causa del difetto di automatizzazione, il processo di conversione grafema-fonema (lettera-suono corrispondente) risulta lento.

Questa posizione teorica non riesce però a spiegare le difficoltà nella percezione visiva e uditiva che possono contraddistinguere i dislessici; inoltre, è una teoria che rimane ancorata ad una concezione ormai superata, secondo cui gli aspetti motori coinvolti nell’articolazione dei suoni e delle parole generano una sbagliata rappresentazione a livello fonologico. 

Per quanto riguarda la presenza di problemi motori nei dislessici il dibattito scientifico è ancora aperto; ad esempio, non si conosce la percentuale di soggetti con questa difficoltà.

Teoria magnocellulare

Questa teoria unifica tutti i risultati delle teorie precedenti. Essa ipotizza che un deficit della via magnocellulare stia alla base delle manifestazioni visive, uditive, tattili, motorie e fonologiche osservabili nei soggetti dislessici. In altre parole secondo questa teoria uno sviluppo non integro di un sistema di neuroni, le magnocellule, può essere responsabile della compromissione dell’elaborazione visiva, uditiva e tattile degli stimoli. Ecco allora che il sistema magnocellulare con uno sviluppo danneggiato spiega le immagini offuscate e “ballerine” percepite da alcuni dislessici durante la lettura. Se il bambino percepisce lettere e parole come immagini sfocate e mosse, ne risentirà anche la memoria di quegli elementi e l’ortografia che poi recupererà dalla memoria lessicale. 

Allo stesso modo la teoria magnocellulare spiega un danneggiamento delle magnocellule della via uditiva e tattile, giustificando i relativi deficit sia a livello fonologico sia pratico evidenziati da alcuni dislessici.

Il limite di tale teoria è emerso grazie a studi che hanno dimostrato come molti dislessici non abbiano problemi di percezione uditiva o problemi nelle sequenze motorie.

Per concludere, l’analisi delle diverse posizioni teoriche mette in luce che l’ambito della ricerca e il dibattito scientifico sulla natura della dislessia sono ancora in fermento e lasciano la questione aperta.